Radici

I momenti principianti della massoneria in generale, e di quella bresciana in particolare, sono da ricercare ben oltre il passaggio fondante delle costituzioni britanniche del 1717. Nel caso italiano, per esempio, i Maestri Comacini, abili ed operosi costruttori, attivi fin dal VII secolo in Lombardia, segnano indelebilmente l’albero genealogico dell’esperienza della cosiddetta massoneria operativa. Ne è testimonianza il codice di Rotari (VII sec.), nel quale si sancisce l’esistenza dei “Magistri comacini”, con le loro regole, tariffe e tradizioni. Da quel momento, che dava valore legale ad una realtà, fatta di costruttori, già consolidata ancora in epoca romana, prende il via una tradizione di arti e mestieri, nel solco dell’esperienza muratoria, antesignana di quella più vasta esperienza europea, e che affiorerà, qua e là, nel corso dei secoli a venire, in numerosi documenti storici.
In tali documenti, quali editti, regolamenti ed atti notarili, si può osservare, in controluce, come, nel tempo, si sia delineata l’ossatura di ciò che sarebbe divenuta, nel XVIII secolo, la massoneria cosiddetta speculativa. Tracce di questo passato remoto sono rinvenibili anche sul territorio bresciano, in edifici come la chiesa di Santa Maria dei Miracoli, dove è ben visibile la firma lasciata dai maestri muratori.

Periodo moderno.

Il momento d’oro, tuttavia, della massoneria moderna, sono i secoli XVII e XVIII; e, più in particolare, l’epoca cosiddetta dei Lumi, col suo corollario di idee e valori che condurranno all’esperienza francese e napoleonica.
Nel 1774, a Brescia, risulta attiva una loggia massonica che, si apprende da alcuni scritti coevi, era legata all’Ordine martinista degli Eletti di Cohen, successivamente legatasi alla Stretta Osservanza (poi Rito Scozzese Rettificato), quindi all’Ordine dei Templari tedeschi, e della quale facevano parte numerosi esponenti della nobiltà e intellighenzia locale, dal conte Calini, ai conti Gambara e Lechi.
Tutte famiglie che di lì a qualche anno, si metteranno alla testa dei movimenti rivoluzionari-giacobini e che condurranno all’esperienza della cosiddetta Repubblica Bresciana del 1797. Sarà comunque l’onda d’urto rivoluzionario-napoleonica ad innestare definitivamente i semi nel già fertile terreno bresciano, preludio della germogliazione di future attività liberomuratorie bresciane.

L’Illuminismo massonico bresciano

Il periodo a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo è sicuramente il grande crogiolo nel quale si aggrumano e si fondono gli spiriti patriottico-rivoluzionari, figli del grande vento che soffiava per le l’Europa delle nascenti nazioni.
A Milano, nel 1805, viene costituito ufficialmente il primo Grande Oriente, per la cui nascita i bresciani si spesero non poco: i generali Mazzucchelli, Giuseppe e Teodoro Lechi (il primo, peraltro, Gran Maestro del Grande Oriente), il barone Antonio Sabatti, solo per citarne alcuni.
A quanto risulta dalle cronache massoniche, la prima loggia regolare operante all’Oriente di Brescia, apre le porte del tempio nel 1807: la “Regia Amalia Augusta”. Ne fanno parte numerosi esponenti della media borghesia delle professioni e del commercio, tra i quali va ricordato quel Nicolò Bettoni, conosciuto da tutti come tipografo, che diede alle stampe la prima edizione de I Sepolcri, del fratello massone Ugo Foscolo, e la prima edizione de l’Illiade di Vincenzo Monti; ma che fu, prima ancora di appassionarsi all’arte tipografica, amministratore della provincia di Udine e Segretario Generale della Prefettura del Mella. Tra i membri della massoneria bresciana figurano, tra gli altri, giudici (Francesco Filos), avvocati (Alessandro Dossi e Gianmaria Febrari, o Vincenzo Girelli, consiglieri di Corte d’Appello), medici (Gaetano Castellani, Tomaso Alberti, Carlo Fontana, quest’ultimo primario dell’Ospedale Maggiore di Brescia), abati (Luigi Scevola e Francesco Salfi), esponenti del mondo produttivo, come l’armaiolo, e liberale, Pietro Richiedei, insegnanti e militari di professione, come i conti Luigi Mazzucchelli, Teodoro Lechi e Vincenzo Martinengo.
Ma citarne alcuni, significa far torto ai molti ed illustri esponenti della società civile che animavano un circuito vitale di idee e aspirazioni, sicuramente in rotta di collisione con lo status quo.

Il periodo zanardelliano

Il severo controllo e il pugno di ferro austriaci, rendono la vita della massoneria bresciana piuttosto difficile. A farne le spese è l’“Amalia Augusta”, che verrà chiusa senza troppi complimenti, facendo inabissare, per alcuni anni, il dissenso intellettuale e civile entro il corpo sociale silenzioso e sottomesso alla ingombrante presenza austriaca.
Sarà la svolta unitaria a consentire il rifiorire delle logge bresciane: la “Cenomana” (1860), di cui si hanno poche notizie, e la “Regia Loggia Arnaldo” (1863-1909), di Rito scozzese antico ed accettato, nella quale confluirà il meglio dell’esperienza liberale e garibaldina bresciane: Luigi Botturelli, direttore del quotidiano zanardelliano “La Sentinella bresciana”; Francesco Feliciangeli, ex garibaldino; lo scrittore Giovanni Fontebasso, gli avvocati Alessandro Legnazzi e Alessandro Tommasi, i medici Luigi Alemanni, Luigi Zavarise, e poi avvocati, insegnanti, e letterati.
La storia della massoneria bresciana si intreccia inestricabilmente con il periodo d’oro del liberalismo, sia bresciano che nazionale.
La città, sotto la guida di una classe dirigente in gran parte massonica, legata al suo leader liberale e massone Giuseppe Zanardelli (il cui studio di avvocato – e abitazione – erano proprio in vicolo S. Zanino, sede della “Amalia Augusta”), fiorirà di esperienze pedagogico-sociali e associative, finalizzate alle creazione di un consenso delle masse popolari e alla formazione di una nuova coscienza laica, patriottica e moderna: nascono il Club liberale, il Circolo popolare, le tante Mutuo Soccorso, la società sportiva Forza e Costanza, la scuola agraria Pastori e le scuole in generale, e molto altro. Il territorio viene puntellato con gli strumenti della comunicazione del tempo: tra i tanti, il monumento all’eretico Arnaldo da Brescia (la cui posa era il simbolo della battaglia intrapresa contro lo strapotere della Chiesa), il monumento a Garibaldi (già Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia), l’obelisco massonico in Castello (inaugurato il 20 settembre 1891 alla presenza di numerose logge) e molto altro; e attraverso la toponomastica, si tenterà di imprimere nelle coscienze dei cittadini i nomi che compongono il pantheon dell’impresa risorgimentale. Ma è, nel complesso, il territorio bresciano che beneficia dell’azione impressa dalla classe dirigente di matrice liberal-massonica: l’elettrificazione della città, la prima linea ferroviaria in provincia, le grandi commesse ministeriali nel campo armiero, ecc. Uno slancio modernizzatore di cui Brescia beneficerà a lungo e che getterà le basi per il balzo industriale della prima metà del XX secolo.

Contemporaneità

Il ‘900 si apre sotto buonissimi auspici per la massoneria a Brescia. Si contano, infatti, ben 512 affiliati alle logge cittadine, in gran parte tra i 20 e i 40 anni, ed esponenti della classe media delle professioni, del commercio e della pubblica amministrazione. Nel 1914 risultano attive le logge “Arnaldo”, “Cola di Rienzo” (il maestro venerabile era Tullio Bonizzardi, zanardelliano e medico e che lascerà un segno indelebile nella sanità bresciana e nazionale), e la “Cesare Abba”. Certamente queste tre logge non esauriscono il panorama massonico bresciano, ma si tratta di una pagina di storia ancora da scrivere ed approfondire.
Ma il ‘900 non fa in tempo ad avviarsi che la Grande Guerra e la successiva esperienza fascista, si abbatteranno sulla vita sociale, economica e culturale bresciane, prima ancora che sulla vita massonica.
Il primo fascismo a Brescia, come in altre città italiane, fa proseliti anche nelle fila del liberalismo post zanardelliano. Non si hanno ancora prove documentarie, ma sembra che persino il Ras bresciano, Augusto Turati, ex zanardelliano e futuro segretario del PNF, vantasse un passato massonico.
La torsione totalitaria del fascismo, tuttavia, metterà a tacere ogni esperienza massonica cittadina, costringendo i liberi muratori bresciani al silenzio e alla clandestinità.
Se ne riparlerà solo a Liberazione avvenuta. Massone fu, infatti, il primo sindaco di Brescia liberata, Massimo Avanzini, docente alla Bocconi ed incaricato alla Consulta Nazionale. E le logge, là dove c’è libertà, trovano terreno fertile. Apre i lavori la loggia “Ettore Busan” nr. 57. Aprono i lavori alcune logge di Rito scozzese, i cui fratelli furono tra i rifondatori della massoneria nazionale post-bellica, per le quali è in corso un’adeguata ricostruzione storica, grazie al rinvenimento di un importante fondo documentario oggi depositato presso la “Leonessa Arnaldo” nr. 951.
Con l’avvicinarsi all’oggi, le cronache si fanno più certe. Nel 1971 sono attive le logge “Zanardelli” nr. 715 (abbatterà le colonne nel 1977, dopo la morte del venerabile, il prof. Edoardo Ziletti); la “Tito Speri” nr. 754, la “Zanardelli” nr. 840, e, dal 1978 ad oggi, la “Leonessa Arnaldo” nr. 951.
La storia della massoneria bresciana del secondo dopo guerra è ancora in gran parte da scrivere e ciò a causa della difficoltà di reperimento dei fondi documentari, di cui l’Istituzione massonica è quasi sempre avara, e nel migliore dei casi, gelosa. Sono attualmente in corso ricerche e approfondimenti presso il Grande Oriente di Italia.