Tommaso Alberti

(Travagliato, 1768 – 1858).
Medico, primario dell’Ospedale Maggiore di Brescia, fu tra i fondatori dell’Ateneo di arti, scienze e lettere. Nel 1811 divenne primo medico di delegazione provinciale. Autore di numerosi trattati a carattere medico-scientifico, usò per primo la corteccia d’ippocastano per trarne un efficace febbrifugo.

Massimo Avanzini

(Milano, 18 maggio 1886 – 26 gennaio 1952).
Avvocato e professore prima all’Università di Milano, e poi alla Bocconi. Fu sindaco di Gargnano dal 1915 al 1925, deputato provinciale dal 1921 al 1925.
Fu uno strenuo avversario del fascismo, tanto che gli venne incendiato e distrutto il suo studio di avvocato. Perseguitato negli anni del regime, fu membro del C.L.N. bresciano, poi primo sindaco della città liberata, quindi deputato, nel 1945, alla Consulta nazionale; ed infine presidente, per lungo tempo, dell’Ente del Garda.
Affiliato alla loggia massonica bresciana “Arnaldo”.

Nicolò Bettoni

(Portogruaro, 24 aprile 1770-18 novembre 1842).
Sebbene non bresciano di nascita, sicuramente lo fu di adozione. Dopo avere ricoperto incarichi amministrativi di grande rilievo a Verona e a Udine, come filo napoleonico, venne inviato da Bonaparte a Brescia nel 1800, come segretario generale del dipartimento del Mella. Gli venne successivamente affidata la carica di Ispettore della tipografia dipartimentale e la direzione del Giornale ufficiale del Dipartimento. In breve tempo fece diventare la tipografia la migliore della Lombardia e Veneto, ottenendone la proprietà nel 1806, dopo avere rifiutato la nomina a direttore della Stamperia di Milano. Nella tipografia di Brescia inaugurò collane di classici, stampò la prima edizione de “I sepolcri” dell’amico e fratello Ugo Foscolo, e la prima edizione dell’Iliade di Vincenzo Monti. Nel corso della sua vita aprì numerose altre stamperie in tutta Italia.
Massone fino alla morte, fu tra i fondatori della loggia bresciana “Amalia Augusta”.

Antonio Bianchi

(Collio, 10 giugno 1774 – Brescia, 6 agosto 1828).
Figlio di Giovanni e di Giovanna Bruni. Sacerdote, letterato, poeta, fu precettore di Cesare Arici e di Giuseppe Saleri, divenne precettore presso il Collegio delle Grazie, dove insegnò grammatica. Sul finire del Settecento, passò ad insegnare nel ginnasio di Brescia (quello che diverrà poi il Liceo Arnaldo). Per i suoi ideali liberali finì nella lista dei 39 cospiratori che la notte del 17 marzo 1797 prepararono l’insurrezione contro il governo veneto. Fu tra i protagonisti della Rivoluzione bresciana. Anche per lui, come per gli altri suoi fratelli, il periodo napoleonico gli sorrise. Per la sua fama di letterato gli venne affidata l’organizzazione di tutte le scuole bresciane. Fu tra i fondatori dell’Ateneo di arti, scienze e lettere di Brescia, di cui divenne segretario ad oltranza nel 1810. Fu un intellettuale molto apprezzato, in contatto con Foscolo, Manzoni, Monti, Giovita Scalvini, Buccelleni, Nicolini, Arrivabene. All’arrivo degli austriaci, non indietreggiò di un passo, e rimase a difesa dell’Ateneo bresciano, mantenendolo vitale e proficuo. Presso l’Ateneo e la Queriniana di Brescia, si conservano le numerose sue opere.

Tullio Bonizzardi

(Brescia, marzo 1834 – 2 aprile 1902).
Studiò medicina all’Università di Pavia, ma ancora da studente, tornò a Brescia con l’intento di aiutare i feriti della battaglia di Solferino. Fu tra i medici più conosciuti e attivi a Brescia. Consigliere comunale e assessore per l’igiene (1860), fervente zanardelliano, lasciò l’incarico per assumere la direzione dell’ufficio sanitario municipale, incarico che tenne fino alla sua morte. Ideò il Ricreatorio civile, istituì i bagni pubblici di Borgo Trento, le scuole carcerarie, la Croce Bianca, cooperò con l’Istituto di Famiglia, fondò e presiedette la Società bresciana di Igiene e il periodico “La Vita”; promosse congressi cittadini sul tema dell’igiene, concorse alla creazione dell’Istituto Sociale S. Luca, promosse il progetto di portare l’acqua potabile in tutte le case di Brescia; si batté per la realizzazione dei sanatori del popolo; fu tra gli animatori e membro dell’Ateneo di Brescia, dal 1868.
Convinto positivista, fu tra i principali esponenti della massoneria bresciana, attivo nella loggia “Arnaldo”, in stretto contatto con Giuseppe Zanardelli (come testimonia il corposo carteggio con lo statista, in corso di studio, ndr), fervente sostenitore dell’idea cremazionista, tanto che dispose che le sue ceneri venissero sparse in modo da ricongiungersi con la natura. Lasciò numerosi scritti e studi, molti dei quali conservati presso l’Ateneo cittadino.

Luigi Botturelli

(Brescia, 1827 – gennaio 1874).
Fu uno dei maestri venerabili della loggia bresciana. Si laureò a Pavia, nel 1848, assieme all’amico e futuro fratello massone, Giuseppe Zanardelli, fece parte del Battaglione degli Studenti, attivo contro gli austriaci. Nel settembre del 1859 fonda la “Sentinella bresciana”, divenendone il direttore e proprietario.

Rutilio Calini

(Brescia, 11 gennaio 1755 – 1816).
Conte, figlio di Muzio e di Lavinia Sala. Attivo nella vita pubblica bresciana, ricoprì diversi incarichi. Nel 1787 sposò Paola Uggeri, figlia della contessa Bianca Uggeri della Somaglia, animatrice di un salotto cittadino che, attorno agli anni 70 del XVIII sec., raccoglieva numerosi massoni bresciani e lombardi.
Fu tra i primi e più accesi massoni bresciani, filo-francese, fu deputato per i Notabili ai Comizi di Lione e appartenne al Collegio elettorale dei Possidenti. Il 1 maggio 1806 venne nominato cavaliere della Corona ferre, e il 7 febbraio 1810 fu nominato barone del Regno.

Gaetano Castellani

(S. Eufemia, 1750 – 1823).
Studiò medicina all’Università di Bologna e poi a Firenze, specializzandosi, successivamente, in diverse città d’Italia e della Francia. A Brescia fu nominato chirurgo primario dell’Ospedale S. Domenico, e per il suo spirito innovatore viene ritenuto il pioniere della nuova chirurgia e delle cure mediche. Scrisse numerose opere di carattere scientifico, molte delle quali pubblicate dall’amico, e fratello di loggia, Nicolò Bettoni.

Alessandro Dossi

(Brescia, 1758 – Leno, 27 aprile 1827).
Laureatosi in giurisprudenza all’Università di Padova, fu avvocato e notaio bresciano. Nel 1797-98 partecipò al Governo Provvisorio bresciano e fu addetto al Commissariato dei viveri e rappresentante bresciano nel Consiglio dei Seniori. Nel 1799, di fronte all’avanzata austriaca, dalla quale subì la radiazione dall’albo degli avvocati, riparò in Sicilia, rientrando a Brescia nel giugno del 1800, divenendo membro attivissimo della Repubblica Cisalpina.
Nello stesso anno ricevette l’importante incarico di riorganizzare la magistratura bresciana e fu grazie a lui che la città divenne sede della Corte d’Appello. Nel 1802 venne nominato nel Corpo legislativo della Cisalpina e nel Consiglio Dipartimentale. Fu membro e segretario dell’Accademia dei Pantomofreni e, dal 1810, socio attivo dell’Ateneo di Brescia. Venne affiliato alla loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”. Nel 1822 venne arrestato, e poi scarcerato, per aver preso parte all’organizzazione dei Federati Italiani.
Vale la pena ricordare almeno un paio dei suoi scritti: “Il Discorso sopra la Religione e la Superstizione”, e “Della pena di morte, sostenendosi non doversi applicare in nessun caso”, discorsi recitati all’Accademia dei Pantomofreni che si teneva clandestinamente in casa Soncini.

Carlo Fontana

(date incerte, ma prima metà del XIX sec.).
Stimato medico delle carceri di Brescia, giacobino, membro della Commissione Finanze, fu iniziato alla loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”.

Giovanni Fontebasso

(Treviso 1811 – Padova 1885).
Cospiratore nel 1837, garibaldino, combattente del 1848, letterato e scrittore, dopo il 1859 si trasferì a Brescia, dove lavorò alla “Sentinella bresciana” fino al 1866.
Affiliato alla loggia massonica bresciana “Arnaldo”.

Bono Foresti

(Brozzo 1770 – ?).
Ispettore forestale a Vestone, attivissimo giacobino contro Venezia, nel 1797, divenne Capo Battaglione della Guardia Nazionale della Valtrompia. Nel 1809 si mise alla testa dei volontari di Gardone, Inzino, Marcheno, Pezzaze e Collio, e li condusse, attraverso il Maniva, a Lodrone, dove mise in fuga gli austriaci in avanzata verso il confine.
Affiliato alla loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”.

Vincenzo Girelli

(data incerta ma prima metà del XIX sec., Brescia).
Di famiglia nobile, nel 1802 fece parte del Consiglio Dipartimentale. Fu consigliere di Corte d’Appello di Brescia.
Affiliato alla loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”.

Filippo Grasso

(Conidoni di Briatico, Catanzaro, 15 dicembre 1886 – Brescia, 1 marzo 1966).
Laureato in medicina e chirurgia a Napoli, assieme al prof. Cardarelli, fu capitano di cavalleria nella I guerra mondiale. Dal 1918 al 1925 fu primario dell’ospedale militare di Brescia. Fu tra i primi sperimentatori delle moderne tecniche di trapianto, compì studi sulla TBC, sulla pastorizzazione del latte, ecc., e fu molto attivo a livello internazionale, stabilendo relazioni di studio con numerose università e centri di ricerca esteri. A Brescia aprì una sua clinica privata.
Aderì fin dalla giovane età alla massoneria, divenendo 33 del Rito Scozzese, nonché per lungo tempo, maestro venerabile della loggia massonica bresciana “Oriente del Mella”. Sebbene aderì al fascismo delle origini, ne venne espulso quasi subito, e durante la Repubblica Sociale Italiana venne incarcerato come dissidente politico e massone.
Nel 1920 sposò la contessa Camilla Caprioli, da cui ebbe quattro figli e due figlie, dimorando presso la bella casa di Sale di Gussago, e il palazzo di via Grazie 19, poi Inselvini, nel quale aveva anche sede il tempio massonico.

Alessandro Legnazzi

(Brescia, 5 ottobre 1832 – Firenze, 15 marzo 1904).
Figlio di Pietro e Giulia Dossi. Prese parte, assieme al padre, alle Dieci Giornate di Brescia, nel 1849. Si iscrisse all’Università di Padova dove si laureò in legge, e contemporaneamente si laureò anche presso l’Università di Innsbruk. Pur prendendo l’abilitazione all’avvocatura, preferì dedicarsi al giornalismo, scrivendo per la “Gazzetta Provinciale” e la “Sentinella bresciana”. Per numerosi anni fu sindaco di Porzano e anche di Leno, dove si impegnò molto per l’educazione e l’istruzione popolare. Eletto deputato alla Camera il 25 novembre 1865 per il Collegio di Leno, rimase in parlamento per ben quattro legislature.
Affiliato alla loggia massonica bresciana “Arnaldo”.

Antonio Legnazzi

(Brescia, 21 gennaio 1820 – ?).
Laureatosi in legge a Padova, già durante gli anni giovanili manifestò idee patriottiche e mazziniane, e poi zanardelliane, cercando di contagiare gli amici studenti dell’università. Nel 1848 prese parte, come capitano di un battaglione, a numerose azioni di guerra, distinguendosi per il valore. Non partecipa alle Dieci Giornate, ma le seguì da lontano, perchè fuggito in Piemonte. Rientrò a Brescia come avvocato, ma subito riprende l’attività cospirativa, assieme a Tito Speri, Camillo Biseo, Battaggia, Frigerio, Rogna, Baresani, ecc., partecipando ad azioni insurrezionali. Rieuscì a sfuggire alla cattura austriaca, riparando in Svizzera e poi a Torino, dove sarà assiduo frequentatore del salotto di Teodoro Lechi. Fu uno dei protagonisti assoluti del tentativo rivoluzionario lombardo del 1853, che però abortì, facendolo finire in prigione. Nel 1859, alla partenza degli austriaci da Brescia, venne incaricato di formare la Guardia Nazionale, con la quale si cimenterà in numerosi scontri a fuoco, guadagnandosi la stima sul campo di Giuseppe Garibaldi, tanto che il 2 dicembre 1859 venne promosso a Maggiore comandante il I battaglione. Non partecipò alla spedizione dei Mille, sebbene lo volesse, ma fondò, assieme a Glisenti, Sedaboni, di Rosa, Violini, il Comitato di Soccorso per la Sicilia, per sostenere l’impresa garibaldina. Il 2 luglio 1860, condusse egli stesso, 102 volontari a Genova, per prendere il largo. Fu tra i più attivi fondatori del Comitato di provvedimento per la guerra di liberazione delle regioni ancora occupate dallo “straniero invasore”. Promotore della Società del Tiro a Segno, instancabile collaboratore de “L’indicatore bresciano”, attivo in molte atre iniziative patriottiche, tanto che 18 maggio 1860 la città di Brescia gli conferì la medaglia d’oro per la sua attività promotrice. Il 12 giugno 1861 venne nominato cavaliere della Corona e il 27 giugno 1861 venne eletto in Consiglio comunale a Brescia. Finì la vita tra le sofferenze causate dalle numerose ferite riportate nel corso delle tante battaglie.
Fu un assiduo frequentatore della loggia massonica bresciana “Arnaldo”.

Domenico Lusetti

(Pontevico, 6 maggio 1908 – Brescia, 3 maggio 1971).
Artista e scultore, si formò all’Accademia delle Belle arti di Brera, come allievo di Timo Bortoletti e Leone Lodi. La sua carriera artistica si aprì a Milano, nel 1936, con una mostra che ebbe un discreto successo, tanto che nel 1937 la pinacoteca Tosio Martinengo acquisto una delle sue opere (“La nipotina”). Aprì uno studio artistico in via Bassiche, mentre dal ’47 si trasferì in via Ferramola, dove alla sua morte, il suo studio venne trasformato in mostra permanente. Negli anni Trenta partecipa, con grande successo, a numerose mostre nazionali, ed alcune gallerie importanti acquistano le sue opere (la Galleria d’arte moderna di Milano acquistò “Giovannino”). Ebbe un notevole successo internazionale, a Berlino, a Barcellona, a Madrid. L’attività artistica venne interrotta dalla guerra. Si ritrovò prigioniero in un lager tedesco, esperienza dalla quale è rimasto un commovente diario di prigionia. Nel dopoguerra la sua attività di artista decollò, e le sue opere sono oggi presenti in numerose gallerie d’arte permanenti di tutto il mondo.
Fu un fratello della loggia massonica “Zanardelli” nr. 715, fino alla sua morte.

Luigi Marchetti

(Toscolano, 1868 – 1933).
Borsista al collegio Ghislieri di Pavia, dove peraltro studiò anche Giuseppe Zanardelli, si laureò in medicina. Lavorò per lungo tempo all’Istituto Dufour di Milano ed esercitò la libera professione a Brescia, guadagnando una vasta clientela.
Affiliato alla loggia massonica bresciana “Arnaldo”.

Vincenzo Martinengo

(Brescia, 5 marzo 1771 – 22 aprile 1831).
Figlio di Venceslao e di Drusilla Sagramoso. Con i fratelli Ettore e Giuseppe partecipò alla Rivoluzione giacobina del 1797. Fece parte del Governo Provvisorio e della Società d’Istruzione. Entrò nella milizia civica e divenne capitano dei Dragoni. In quegli anni venne iniziato alla massoneria, entrando nella loggia bresciana “Amalia Augusta”, ricoprendo ruoli di rilievo. Dopo un periodo di carcere, a Milano, venne liberato nel 1800, e venne nominato membro della Commissione governativa e nel luglio 1801, sotto la seconda Cisalpina, venne chiamato a far parte della nuova municipalità di Brescia, ricevendo da Napoleone il titolo di cavaliere della Corona di Ferro. Anche lui, come il fratello massone Rutilio Calini, venne chiamato ai Comizi di Lione come rappresentante dell’Amministrazione e venne nominato a far parte del Collegio elettorale dei possidenti. Sotto il Regno d’Italia fece una fulminea carriera militare, raggiungendo in breve il grado di colonnello. Al ritorno degli austriaci, si ritirò nei suoi possedimenti, svolgendo ruolo di mecenate dei suoi ex commilitoni e fratelli massoni, presso il palazzo dei Martinengo-Colleoni in piazzetta S. Alessandro. Nel 1821 lo troviamo affiliato alla Carboneria, al fianco del conte Lodovico Ducco, e membro della società segreta dei Federati italiani. Arrestato dagli austriaci nel 1822, venne tradotto nel carcere di Lubiana, e da lì allo Spielberg, nel 1826. La prigionia presso le carceri austriache, per lui come per altri ospiti delle galere, gli inflisse nel corpo i segni della sua fine che lo colse quattro anni dopo la sua liberazione.

Giambattista Ogna

(data incerta ma prima metà del XIX secolo, Brescia).
Medico stimatissimo, apprezzato scrittore e intellettuale, amico di Camillo Ugoni, fu tra i collaboratori bresciani del “Conciliatore”. Prese parte all’insurrezione dei Federati Italiani del 1821 e, perseguitato dagli austriaci, dovette prendere la via dell’esilio.
Affiliato alla loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”.

Domenico Ostoja

(data incerta ma prima metà del XIX secolo).
Fu segretario del Potere esecutivo nella Repubblica Cisalpina, per il Dipartimento del Benaco, quindi magistrato a Salò e presidente del Tribunale criminale di Brescia.
Fu deputato rappresentante dei Tribunali di Brescia ai Comizi di Lione, tra il 1801 e il 1802,. Durante il Regno italico fu membro del Collegio elettorale dei Dotti a Bologna, nel 1802, poi presidente della Corte di Giustizia (1807-14).
Fu uno dei maestri venerabili della loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”, e, assieme al maestro segretario della medesima, Pagani, scrisse i nuovi ordinamenti di Loggia, illustrati in un rarissimo opuscolo stampato clandestinamente dall’editore, e fratello, Niccolò Bettoni, con il titolo: “Discipline della Reale Loggia Amalia Augusta dell’Oriente di Brescia”, in appendice agli Statuti generali della Massoneria in Italia (24 pagine, 1808).

Antonino Parisi

(Palermo, 20 marzo 1915 – Edolo, 22 marzo 1990).
Bersagliere, dopo l’8 settembre del ’43, entra nelle fila dell’antifascismo, in Valcamonica, con il nome di “Nino”, presso la 1° Divisione G. Verginella.
Comandò poi la 54° Brigata Garibaldi, molto attiva nel 1944, di cui organizzò tutte le azioni militari, scontrandosi non poche volte con le Fiamme Verdi.
Dopo la guerra continuò come referente per il PCI della Valcamonica. Una grave malattia lo costrinse all’infermità, e poi alla morte, in quel di Edolo.
Massone fin dal dopoguerra, rimase affiliato alla loggia massonica bresciana “Zanardelli” nr. 715.

Erminio Pescatori

(data incerta, sec. XIX).
Comico, attivo a Brescia con la Compagnia comico-drammatica, impegnata al Teatro Guillaume, di proprietà e diretta dalla moglie, fu nell’ottobre del 1863 tra i fondatori della loggia massonica bresciana “Arnaldo”, dedicata appunto all’eretico bresciano.

Antonio Porcari

(date incerte)
Intendente delle Finanze, fu tra i fondatori, nel 1806, della Loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”.

Pietro Richiedei

(Gussago, 5 aprile 1783 – Brescia, 1846)
Nobile bresciano, figlio del conte Giacomo e di Caterina Pari. Militare di carriera. Si formò presso il Colleggio di Correggio, uno dei più importanti del tempo. Si specializzò alla Scuola Militare di artiglieria e del genio di Modena. Dapprima di stanza Brescia, poi a Pavia, nel 1811 e 1812 combatté tra le fila dell’esercito napoleonico in Spagna. Prigioniero nel 1812, rimpatriato, nel 1813 tornò a combattere in Spagna, guadagnandosi sul campo la promozione a capitano. Tornato a Milano, venne dislocato allo Stato Maggiore dell’Artiglieria d’Armata d’Italia. Partecipò a diverse battaglie contro gli austriaci, e ottenne la decorazione della Corona ferrea.
Restaurato il potere austriaco, rimase a Brescia quale capitano di guardia alla fabbrica d’armi Beretta di Gardone Val Trompia, dedicandosi, successivamente, alla professione di ingegnere.
Tenuto sotto stretta sorveglianza dagli austriaci, sospettato, giustamente, di tendenze liberali, venne coinvolto nella congiura bresciana del 1821 nella quale ebbe l’incarico di vendere la pubblicazione clandestina “Gli italiani in Cattalogna”. Nel 1823 venne arrestato a chiuso nel carcere di Milano, condannato alla pena di morte, poi condonata dall’imperatore Francesco I. Trasferito nel carcere di Lubiana, vi passò un più di un anno. Uscitone, provato dalla dura prigionia, passò gli ultimi anni ridotto all’impotenza dagli strascichi della carcerazione.
Fervente massone, fu tra i fondatori della loggia massonica bresciana “Amalia Augusta”, nella quale ricoprì l’incarico di archivista aggiunto.

Adelino Ruggeri

(Brescia, 19 giugno 1922 – 17 ottobre 1997).
Geometra, titolare di un istituto privato di investigazione. Nel 1956 fu impiegato presso la sede di Milano dell’organizzazione “Pace e Libertà” di Edgardo Sogno. Nel 1969, con l’avv. Salvatore De Domenico, diede vita al periodico “Organizzazione Azione Patriottica”. Venne arrestato nel gennaio del 1975 nell’ambito dell’inchiesta sull’attività del Mar (Movimento di azione Rivoluzionaria) di Carlo Fumagalli. Rimase in carcere 700 giorni. Ne uscì solo dopo che le sue condizioni mediche dimostrarono la precarietà della salute. I processi intanto continuarono, e portarono alla totale assoluzione nel dicembre 1979.

Francesco Saverio Salfi

(Cosenza, 1 gennaio 1759 – Passy (Francia) 2 settembre 1832).
Bresciano di adozione, ordinato sacerdote nel 1782, seguace di Antonio Genovesi (filosofo ed economista, già amico di Raimondo di Sangro, Principe di San Severo), scrisse numerose tragedie e drammi teatrali, guadagnandosi la stima del Filangieri, del Palmieri e di tanti altri. Nel 1792 prese parte alla “Società patriottica napoletana”, venendo arrestato e perseguitato. Si rifugiò a Genova, dove rinunciò all’abito talare e dove venne iniziato alla Massoneria, nel 1796. Con l’arrivo di Napoleone, corse a Milano, dove divenne il principale collaboratore della rivista giacobina “Il Termometro politico” e del “Giornale de’ patrioti di Italia” (1797). Si occupò di teatro politico e scrisse, tra gli altri, “Il ballo del papa” (il vero titolo è “Il general Colli a Roma”), rappresentato alla Scala il 25 febbraio 1797. Trasferitosi a Brescia, venne eletto segretario del Comitato di Legislazione, socio del Circolo Costituzionale e della Società di istruzione, ponendosi così al servizio del Governo Provvisorio. Sempre attivo nel mondo del teatro, curò a Brescia la recita del “Carlo IX” dello Chénier, pubblicò e rappresentò la “Virginia bresciana”, una tragedia dedicata ai cittadini bresciani, molto apprezzata nel circuito teatrale degli altri stati italiani. Fu oratore del “Club Cisalpino” e tra i fondatori della loggia massonica “Amalia Augusta”, di cui fu per molto tempo uno dei dignitari onorari. Nel 1807 pubblicò, nelle edizioni Bettoni, un volumetto di 85 pagine dall’eloquente titolo “Iramo”, nel quale espose in tre canti epici il “tipo del magistero simbolico”. Nel 1799 lo si ritrova a Napoli, al seguito della Repubblica Partenopea, dove combatté contro le truppe del cardinal Ruffo. Riparò in Francia, dove, dalle pagine di alcune importanti riviste, diffuse la conoscenza della letteratura italiana. Una volta rientrato in suolo italico, insegnò a Milano logica e metafisica, e poi storia e diritto nel ginnasio di Brera. Nel 1815 lo si ritrova a fianco di Gioachino Murat, con cui prese parte al tentativo insurrezionale. Riparò definitivamente in Francia, dove lavorò ancora, assieme a Filippo Buonarroti, ad alcune pubblicazioni. Morì povero, non si allontanò mai dall’ideale massonico, e fu sepolto nell’importante cimitero di Père Lachaise di Parigi.

Girolamo Vidali

Tra i fondatori, nel settembre del 1806, della Loggia massonica “Amalia Augusta”.
Di lui non si sa molto, tranne che viene accreditato come membro del Consiglio dei 33 di Francia.

Giuseppe Zanardelli

(Brescia, 1826 – Toscolano Maderno, 1903)
Avvocato, scrittore, intellettuale raffinato, insigne legislatore (suo è il moderno codice penale del 1889, che prevede, tra l’altro, l’abolizione della pena di morte) fu tra i protagonisti indiscussi del risorgimento e tra i più illuminati statisti della storia italiana. Fu tra i leader liberali della sinistra storica, più volte ministro, presidente della camera in tre legislature, presidente del Consiglio della cosiddetta “svolta liberale” (1901-1903), impresse una forte spinta modernizzatrice e morale al paese, in generale, e alla città di Brescia in particolare. Massone dalla prima metà del 1850, iniziato in una loggia torinese, raggiunse prestissimo il 33° grado del Rito Scozzese, e vi rimase fino alla fine dei suoi giorni. Sedette anche tra le colonne della loggia bresciana “Arnaldo”, come testimonia una ricevuta di versamento delle capitazioni trovata nel corposo fondo archivistico depositato presso l’Archivio di Stato di Brescia.
Nel suo epistolario, in corso di spoglio da parte di uno dei nostri fratelli bresciani, vi si trovano numerose testimonianze della corrispondenza dello statista con i vertici della massoneria italiana.

Edoardo Ziletti

(Calcinato, 31 gennaio 1894 – Botticino, 20 agosto 1973).
Insegnante, letterato, scrittore, musicista, negli anni del regime entrò in contatto con l’antifascismo ed esiliò in Francia, dove strinse intense relazioni con i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Ferruccio Parri, Pietro Nenni, e maturando sempre più le sue convinzioni repubblicane. Lo si ritrova a Brescia nel 1936, quale collaboratore del “Popolo d’Italia”, mentre nel 1938 aprì un istituto privato di insegnamento, “La Leonessa”. Nel 1940 pubblicò e rappresentò al Donizzetti di Bergamo, l’opera “Il mito di Caino”. Nel tempo si accentua sempre più il suo antifascismo, raccogliendo attorno a sé un gruppo nutrito di azionisti e comunisti, e dando vita ad azioni di stampa clandestina di aperta critica al regime. Nel marzo dl ’43 pubblicò il foglio “Il Risveglio”, di cui riuscì a diffonderne solo tre numeri, di chiara marca azionista, dal quale chiama alla sollevazione diverse categorie sociali contro il fascismo, auspicando un’assemblea costituente, incitando al boicottaggio e alla resistenza passiva contro negozi, giornali, manifestazioni del regime. Si spostò vieppiù verso posizioni di sinistra (le pubblicazioni “Falce e Martello”, ecc., dove auspica consigli di fabbrica, ecc.). Il 26 luglio 1943 divenne l’animatore del Comitato interpartitico di via Diaz, ma il giorno successivo venne arrestato assieme ad altri esponenti dell’antifascismo cittadino. Durante la Repubblica Sociale Italiana venne arrestato più volte dalla GNR, e condannato definitivamente dal Tribunale Speciale nel febbraio ’45, a due anni di reclusione. Condivise la cella con Bruno Boni, futuro sindaco di Brescia, Pierino Berardi, Vitale e Bertozzi. Forse furono queste frequentazioni a spostarlo su posizioni liberali, arrivando a fondare, assieme a Licinio Valseriati e Giorgio Masi, il circolo radicale “Cultura Nuova”.
Nel dopoguerra si dedicò all’insegnamento, divenendo preside dell’Istituto Franciscanum.
Fu tra i fondatori della loggia massonica bresciana “Zanardelli” nr. 715, di cui ospitò il tempio in casa propria, a Botticino, fino alla sua morte.
Molte delle sue pubblicazioni sono consultabili presso la Queriniana di Brescia.